giovedì 29 aprile 2010

3° crossing

Dato il forte interesse per il progetto di Filadefia,Penn's Landing Square, di Louis Sauer, vedere anche il progetto di Newmarket fatto dall'architetto nel quale è molto evidente il concetto di mixité funzionale. Il processo logico che si sta attuando per sviluppare il progetto è esatto, si può dunque seguire questa direzione!!

martedì 27 aprile 2010

l'ispirazione per il bang


il bang nel mio progetto

Il bang è lo spazio di mediazione tra interno ed esterno, uno spazio generato dall'intersezioni di volumi. Potremmo quasi definirlo un "in- between nell' in- between" ovvero uno spazio tra 2 edifici, comune ad entrambi, situato in una zona già di per sé "in-between" (l'urban void si trova in una zona abbandonata e degradata in un'area libera tra il costruito). L'idea nasce dalla volontà di ottenere una progressiva smaterializzazione dello spazio: si passa dal costruito (materico, chiuso associato al colore nero) ad una zona intermedia (potrebbe essere un open-space
vetrato, flebile barriera, associato al colore grigio) fino a giungere all'esterno (l'aperto giardino con percorsi associato al colore bianco)

il bang nel Penn's Landing Square

Il bang del progetto è il "tessuto", la soluzione progettuale non viene più dal grande segno come nelle macrostrutture ma si ricava dalle trame entro le quali possono ricadere le variazioni dello spazio. E' così una griglia che governa il progetto, il terreno è una sorta di mappa modulata e non più un vassoio piatto sul quale disporre i volumi. La griglia si svuota, si apre e si chiude di volta in volta secondo le esigenze.

alcune delle componenti del progetto di Sauer




Louis Sauer, Penn's Landing Square, Filadelfia 1966-70



L'architetto sperimenta nuovi sistemi insediativi e distributivi attraverso la strategia del low rise- high density. Questo sistema permette di avere una riduzione delle altezze mantenendo però un'alta densità. Alle enormi torri isolate che si costruivano in quegli anni Sauer sostituisce case di 4 piani contigue sul fronte stradale e variamente distribuite all'interno dell'isolato. Al rapporto cellula-edificio della tradizione modernista viene sostituita una triade formata da cellula-pacchetto abitativo-edificio. Ogni pacchetto contiene più alloggi aggregati verticalmente e orizzontalmente e incorpora le scale di accesso autonome, consentendo ad ogni appartamento di essere servito direttamente da terra. La casa di conseguenza è organizzata attraverso una chiara divisione tra la zona servita, soggiorno e camere da letto, e la zona servente.Oltre a risolvere l'organizzazione interna della cellula, la distinzione tra zona servente e servita dell'alloggio è funzionale alla disposizione planimetrica basata sul distanziamento e l'avvicinamento degli spazi - fino ad avere percorsi a cielo aperto di circa 1.80 - in un susseguirsi di contrasti di luce e di ombre, di costruito e di vuoto, di ambiti comuni e privati di grande valore ambientale e architettonico. L'organizzazione a "L" è la chiave della composizione: guida sia le piante degli alloggi( tutte possono così avere un patio o una terrazza), sia le combinazioni planimetriche (consente di rotare e incastrare i corpi formando una sorta di grappoli) che le sezioni (si possono quando serve usare campate di altri alloggi contigui).

domenica 25 aprile 2010

Nell' istituto con la dott.ssa Procacci

La dott.ssa Procacci, direttrice dell’ufficio Affari generali e relazioni culturali, che mi guida cortesemente a visitare la struttura, inizia col descrivere la nascita dell’istituto.
”Sono passati ormai più di 50 anni da quando, nel 1954, fu sancito un vero e proprio accordo culturale tra Italia e Giappone. A partire da quel momento, la realizzazione dell'Istituto è stata una priorità per tutti gli ambasciatori giapponesi a Roma. Il primo progetto di costruzione, in verità, risale agli anni '30, ma l'Istituto fu inaugurato ufficialmente solo il 12 dicembre 1962, con uno spettacolo di danza tratto dal teatro kabuki, e venne in tal modo a rappresentare il primo esemplare di questo tipo fuori dal Giappone.
Inizialmente gestito e sovvenzionato dal Ministero degli Affari Esteri per il tramite di un ente privato denominato "Società per la Promozione delle Relazioni Culturali Internazionali" , la cura dell'Istituto fu poi assegnata ad una fondazione giapponese indipendente, nata nel 1972 e chiamata "The Japan Foundation" ,di cui l'Istituto rappresenta la sede italiana. Questa fondazione, che dall'ottobre 2003 è un ente ad amministrazione indipendente, ha attualmente sedi in circa venti nazioni, favorendo e sostenendo studi, ricerche, pubblicazioni e programmi di studio sul Giappone mediante sovvenzioni e donazioni.”…
"Le uniche città dove sono presenti Istituti di Cultura Giapponesi sono in Europa, a Roma, Colonia e Parigi. Ma solo nelle prime due, gli edifici sono realizzati ricalcando fedelmente lo stile giapponese classico, sebbene contaminato con motivi moderni". A Roma, l'area dedicata alla fondazione è un terreno di circa 2.900 metri quadri concesso dal Comune di Roma. Sulla sua superficie sorgono un edificio di 3 piani, splendido esempio di architettura giapponese moderna nello stile del periodo Heian, ed il giardino, che rappresenta un prezioso e mirabile esercizio in stile tradizionale giapponese, il Sen-en.Aggiunge la Dott.ssa Procacci, "il governo giapponese ha finanziato l'intera opera, trasformando l'Istituto in una sorta di enclave giapponese in terra italiana". All'interno dell'Istituto, è il governo nipponico che valuta i progetti da portare avanti gestendone i finanziamenti, ma anche che paga gli stipendi dei dipendenti, sia giapponesi che italiani.Le costruzioni tradizionali erano realizzate tipicamente in legno. Nonostante il progettista dell'edificio, l'architetto Yoshida Isoya, abbia utilizzato in questo caso cemento armato, vengono preservate tutte le caratteristiche del periodo Heian, compresi i caratteristici shôji, le porte scorrevoli in carta di riso, che forniscono agli ambienti una luminosità omogenea, tenue e soffusa. Gli interni dell'edificio meritano una visita per la tipica sala di rappresentanza, la raffinata sala d'ingresso, ma soprattutto il takenoma, il salotto in bambù situato al primo piano davanti all'Auditorium, quest'ultimo utilizzato per concerti, proiezioni, spettacoli di danza e teatro, conferenze.La perla dell'Istituto è senza dubbio il giardino Sen-en (letteralmente "giardino con laghetto"), primo in Italia realizzato da un architetto giapponese, Ken Nakajima, lo stesso che ha progettato il giardino giapponese dell'Orto Botanico. Secondo la tradizione, la realizzazione di questo tipo di giardini prevede la presenza di un laghetto, rocce, isolette, ponticello, cascata, in tal caso realizzata con pietre prelevate dalla campagna Toscana, e tipica lampada in pietra, il tôrô. La veranda, tsuridono (letteralmente "svago della pesca"), è il migliore punto di osservazione del giardino. Completano lo stupendo scenario una serie di curatissime piante, tra cui esemplari di ciliegio, simbolo del Giappone, glicine, iris, pino nano ed ulivo, quest'ultimo in rappresentanza del forte legame esistente con la cultura mediterranea. Le attività dell'Istituto, a Roma come all'estero, sono volte alla divulgazione della cultura, delle arti e delle tradizioni giapponesi, tenendo conto delle derivazioni di cui queste si sono arricchite nel corso dell'ultimo secolo, avvicinandole enormemente al mondo occidentale, mediterraneo e mitteleuropeo.La dinamicità dell'Istituto si concretizza nell'organizzazione di vari generi di mostre, sempre incentrate sull'arte e le tradizioni giapponesi, con temi che spaziano dall'arte antica a quella contemporanea, costumi, folklore, stampe, fotografie o semplicemente oggettistica. Sono inoltre presentati balletti, concerti tradizionali e rappresentazioni teatrali, ma anche conferenze tenute da competenti esponenti e conoscitori di cultura giapponesi, con lo scopo di confrontare ed avvicinare il mondo del Giappone con quello dell'Italia ed Occidentale in genere ..Nella biblioteca è custodita la più completa e ricca raccolta di materiali sul Giappone presente in Italia, quasi equamente divisi in giapponese e lingue europee (soprattutto inglese). Il vasto patrimonio è costituito da oltre 30.000 volumi (di cui circa la metà in giapponese), quasi 200 riviste, i maggiori quotidiani giapponesi ed audiocassette per studiare la lingua. La consultazione dei testi è libera ed è prevista a breve la pubblicazione in rete del catalogo. Il prestito è possibile anche per corrispondenza.L'Istituto presenta inoltre interessanti rassegne cinematografiche, portando in visione pellicole fuori commercio. La cineteca comprende circa 140 film a soggetto in versione originale sottotitolata e circa 80 documentari su cultura ed arte giapponesi.Associazioni, Accademie ed Enti che intendano promuovere, senza fini di lucro, la divulgazione di arte, cultura e tradizioni giapponesi, possono fare richiesta di prestito del materiale di cineteca e di alcune mostre fotografiche.

partnership al progetto

PARTNER n.1

Dott.ssa Costanza Procacci - ufficio affari generali e relazioni culturali - Istituto Giapponese, via Gramsci, 74
http://www.jfroma.it/homepage.htm

PARTNER n.2

Pierfrancesco Ros - architetto, designer, consulente di bioedilizia- scuola italiana di architettura Feng Shui, via Salieri n.5, Verona
http://www.fengshui-italia.com/ChiSiamo.htm

PARTNER N.3

Federico Masini - preside della facoltà degli studi orientali alla Sapienza, via Principe Amedeo 182 b
http://www.youtube.com/watch?v=sJabFcpFsMM
http://w3.uniroma1.it/studiorientali/docenti/masini.htm

sabato 24 aprile 2010

2° crossing over

Si vede una certa coerenza nella scelta del cubo che vuole essere conservato in una forma diversa da come appare nel foligno cube (era un blocco di cemento alto, chiuso e massivo). In questo progetto il cubo sarà più simile a quello che rappresenta Steven Holl per la penisola di Nanning: un cubo aperto e deformato. Inviare all'architetto Di Raimo le gli schemi sulle vetrate, spunto per la nuova scacchiera.

mercoledì 14 aprile 2010

interventi conferenza auditorium 8 aprile

Santiago Calatrava
L’architetto, che ha realizzato il Museo delle Scienze a Valencia e La città dello sport di Tor Vergata a Roma descrive Roma come una città storica ricca di monumenti, parchi, ville, vie, piazze e fontane capaci di suscitare emozioni . Molti lettarati e pittori hanno accolto le sensazioni e la “musica” di questa città. Secondo Calatrava, che cita una frase di Perret, “L’architetto è colui che riesce a rendere le rovine belle”. Questa “bellezza” potrebbe esser restituita alla città principalmente attraverso la bonifica del fiume Tevere, la tutela delle risorse ambientali e il potenziamento dell’arte urbana.

Peter Calthorpe
L’architetto e urbanista, consulente del piano strutturale del comune di Arezzo e fondatore del new urbanism, descrive i cambiamenti climatici e pensa ad una riqualificazione di Roma e alla costituzione di nuovi modelli urbani basati sul risparmio delle risorse energetiche secondo principi di sostenibilità. Agli aspetti ambientali aggiunge quelli infrastrutturali sottolineando la necessità di connessioni e interdipendenza dei luoghi.

Stefano Cordeschi
L’architetto, professore alla facoltà di architettura di Roma 3, descrive la città come un corpo unico; le periferie sono le nervature di questo corpo, bisogna vascolarizzarle affinchè tutto sia più pulsante. I grandi vuoti delle periferie hanno molte potenzialità se si stabiliscono relazioni forti con il centro. La manutenzione e il recupero sono strumenti utili a conservare il valore dell’opera (necessari per il Foro Italico ma non per le caserme che dovrebbero esser distrutte)


Roberto D’agostino
Il presidente dell’Associazione AUDIS (aree dismesse urbane) propone una valorizzazione delle aree dismesse non più “economica”, ma urbanistica e sociale. Attraverso progetti di “housing sociale”,( nuova residenzialità per giovani e giovani coppie)in cui le dimensioni di pubblico e privato riacquistino il proprio ruolo, si potrebbe avere una politica a costo zero da parte delle amministrazioni e le aree dismesse sarebbero pensate come terra di nuova centralità, luogo in cui vorremmo vivere.

Bruno Dolcetta
Docente di urbanistica allo IUAV di Venezia, Dolcetta fonda il suo discorso su una citazione fatta da Gustavo Giovannoni che introduce il concetto di “città vecchia” e “città nuova“. Per l’architetto la città va concepita come un monumento, alla città storica deve essere affiancata la città nuova. E’, quindi, una “città accanto” a sostituire il termine di periferia.

Massimiliano Fuksas
L’architetto descrive l’aumento progressivo della popolazione negli anni e il conseguente invecchiamento di essa. Roma è una megalopoli in cui 127.000 abitanti vivono nel centro ed i restanti 3.500.000 sono concentrati nelle periferie. La “Grande Roma” necessita quindi di una “governance” ovvero una forza motrice capace di collegare le periferie tra loro e non con il centro sempre più congestionato. L’altro tema che Fuksas affronta è la difesa dell’agro romano.

Leon Krier
L’architetto e urbanista si pone il problema di come costruire la “città matura”. Essa sarà una città in cui non sarà privilegiata la iperdensità e lo sviluppo verticale ma uno sviluppo orizzontale gestito attraverso un ritorno all’uso dei materiali locali. La mobilità sarà costituita da un insieme di piazze collegate da percorsi pedonali affinchè ci sia un ritorno alla dimensione umana.

Richard Meier
L’architetto non crede che ci sia una soluzione ideale che possa risolvere il problema delle aree dismesse, pensa che ogni caso specifico abbia una sua chiave risolutiva.

Paolo Portoghesi
L’architetto descrive le periferie come un arcipelago di isole a cui manca una struttura che le renda parte di un tutto organico. Il sistema della mobilità dovrebbe esser costitutito principalmente da piazze “all’italiana” come piazza Bologna, Re di Roma, ovvero da quie vuoti che, se ben progettati, contano più dei pieni.

Richard Burdett
L’architetto londinese descrive il PRG come uno strumento capace di apportare miglioramenti al sistema urbano ma anche peggioramenti se mal delineato. Secondo Burdett prima di occuparsi dell’architettonico bisogna occuparsi del sistema urbano individuando i proprietari del terreno,i soggetti a cui è affidata la gestione di esso (se fossero privati il rischio di avere un progetto monofunzionale aumenta) e il programma funzionale.

lunedì 12 aprile 2010

Da evitare!!!!

http://www.youtube.com/watch?v=Nn45rGWtZ9s

revisione

Cercare di integrare i 3 concept per far si che il progetto non sia classico e "banale" attraverso la ricerca di esempi di mixité funzionale con tema simile a quello da me pensato. Considerare non solo il mio urban void (troppo piccolo) ma tutta l'area. Leggere i capitoli del libro sui palinsesti e le tessiture per capire meglio l'idea dei tracciati generati dall'analisi del luogo. Vedere le tesi di Luciano e Mililli per avere spunti. Dare un titolo inglese "efficace" al nuovo concept pensato.